Le norme di riferimento riguardo all’emergenza COVID-19
Nel saggio “ Il rischio di contagio da COVID-19 nei luoghi di lavoro: obblighi di sicurezza e art. 2087 c.c. (prime osservazioni sull’art. 29-bis della l. n. 40/2020)”, a cura di Arturo Maresca (Professore ordinario di Diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma), vengono inizialmente riportate le norme di riferimento, alla stesura del saggio, e si indica che “la disposizione dalla quale occorre prendere le mosse per ricostruire il dato normativo vigente è quella contenuta nell’art. 1, comma 14, del d.l. 16 maggio 2020, n. 33, convertito con l. 14 luglio 2020, n. 74, in forza della quale ‘le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale. Le misure limitative delle attività economiche, produttive e sociali possono essere adottate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, con provvedimenti emanati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020 o del comma 16’. Norma che viene rafforzata dal comma 15 dello stesso art. 1, per cui ‘il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza’”.
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Il rapporto tra l’art. 2087 del Codice civile e la normativa emergenziale
In definitiva per l’individuazione degli obblighi gravanti sul datore di lavoro si deve verificare se la normativa speciale, “operando in modo analogo al meccanismo ordinario proprio dell’ art. 2087 c.c. e del TU n. 81/2008, ne costituisce una specificazione predisposta dal legislatore per prevenire il rischio di contagio da coronavirus che rende ripetitiva e, per questo inapplicabile, la tutela apprestata in via generale”.
Insomma “si tratta di capire se l’articolazione di un microsistema congegnato dal legislatore per formare una disciplina speciale di contrasto al Covid-19 organizzando le norme in funzione della varietà degli interessi da proteggere e degli equilibri da salvaguardare, possa al suo interno annoverare anche una sistema di protezione del rischio da contagio nei luoghi di lavoro sostitutivo di quello, altrimenti operante in base alle norme ordinarie (cioè l’art. 2087 c.c. ed il TU)”.
E per dirla in una battuta – continua l’autore – “il punto non è se questo rischio grava sul datore di lavoro, ma piuttosto quali sono le misure di prevenzione prescritte dal legislatore, muovendo dal presupposto scontato che, sul piano generale, la tutela dell’art. 2087 c.c. concorre con quella del TU n. 81/2008, ma ciò però non implica necessariamente che le norme ad hoc della legislazione speciale per il contrasto al COVID-19 si integrano con quelle ordinarie, anziché operare in loro sostituzione”. E “le implicazioni di tale alternativa non sono di poco conto. Infatti, se si dovesse ritenere applicabile anche l’art. 2087 c.c., ciò comporterebbe che l’adempimento dovuto dal datore di lavoro nella predisposizione delle misure di prevenzione al rischio di contagio andrebbe misurato anche con riferimento alle c.d. misure innominate, cioè tutte quelle che, sebbene non espressamente previste, sono ritenute (secondo l’art. 2087 c.c.) ‘necessarie’ per tutelare il lavoratore ‘secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica’”.
Tuttavia “la strada tracciata dal legislatore in ordine alle misure di prevenzione del rischio di contagio da COVID-19 appare sufficientemente chiara, specialmente a seguito dell’ art. 29-bis della l. n. 40/2020”. Infatti, come abbiamo visto, con quest’ultima norma “il legislatore ha voluto non solo individuare e circoscrivere tali misure facendo rinvio ai Protocolli (in tutte le loro articolazioni: nazionale, settoriale, regionale, aziendale), ma anche assumere espressamente posizione circa la loro interazione con l’art. 2087 c.c.”.
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Gli obblighi e alle responsabilità che gravano sul datore di lavoro
Riguardo in definitiva alla domanda iniziale relativa agli obblighi e alle responsabilità che gravano sul datore di lavoro l’autore indica che è possibile concludere che “il doveroso rispetto delle ‘prescrizioni’ dei Protocolli, insieme alle altre norme speciali espressamente richiamate dal legislatore (come ad esempio l’art. 16 del d.l. n. 18/2020 per quanto riguarda l’obbligo di indossare le mascherine), è idoneo ad escludere la responsabilità del datore di lavoro nei confronti del dipendente contagiato dal virus, senza che la verifica di tale responsabilità possa essere condotta applicando anche l’art. 2087 c.c.. Proprio perché le misure di prevenzione previste dai Protocolli e la vigilanza in ordine alla loro applicazione esauriscono gli obblighi a carico del datore di lavoro sostituendosi all’art. 2087 c.c. per quanto riguarda il presidio del rischio di contagio da COVID nei luoghi di lavoro”.
Si segnala poi che il modello prefigurato dal combinato disposto delle varie norme (con riferimento specifico a artt. 29-bis, l. n. 40/2020 e d.l. n. 33/2020) “appare coerente con quanto previsto dal legislatore nell’art. 30 del TU del 2008 che, esaltando la finalità di prevenzione dei rischi per la sicurezza dei lavoratori, stabilisce un’esenzione di responsabilità delle persone giuridiche che abbiano ‘adottato ed efficacemente attuato’ un ‘modello di organizzazione e di gestione’, così ‘assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici’ relativi alla sicurezza del lavoro”.
Fonti: Puntosicuro.it